La casa di «Parasite»

Incoronato come miglior film della 92ª edizione degli Oscars, Parasite di Bong Joon-ho è una lezione sullo spazio, sulla luce e sull’architettura, usati in maniera strumentale e molto accurata per tessere la trama di una sorta di commedia-noir incentrata sulle diseguaglianze sociali.
La storia di una famiglia povera, che vive di espedienti, e quella di una famiglia benestante vengono narrate attraverso le loro abitazioni: nel primo caso un seminterrato dove lo spazio è ridotto al minimo e la luce naturale entra solamente attraverso una piccola finestra dalla quale la famiglia è costretta a vedere ogni giorno lo spettacolo degradante di un ubriacone che urina per la strada; nel secondo caso una bellissima villa in cemento facciavista, legno e grandi vetrate, che nel film viene attribuita all’architetto Namgoong Hyeonja: la contrapposizione si consuma con la finestra del salone, dalla quale la ricca famiglia può godere, come fosse lo schermo di un cinema, di una bellissima (ma artificiale) vista sul loro giardino.

Living room della villa in allestimento. Photo: ⓒ 2019 CJ ENM CORPORATION, BARUNSON E&A ALL RIGHTS RESERVED

L’architetto menzionato nel film tuttavia è un personaggio anch’esso inventato.
La villa e il seminterrato (con annesse strade di quartiere) sono incredibili scenografie, opera di un accuratissimo lavoro del set designer Lee Ha Jun, che ne ha progettato insieme al regista ogni dettaglio, prima attraverso disegni e rendering e poi attraverso l’allestimento (tutti gli arredi della casa sono stati realizzati custom!), avvalendosi del linguaggio architettonico per arricchire di sfumature e potenzialità il linguaggio cinematografico.

Rendering di studio del seminterrato. Photo: ⓒ 2019 CJ ENM CORPORATION, BARUNSON E&A ALL RIGHTS RESERVED

Come nel caso del parapetto della scala del soggiorno, che si smaterializza alla base con dei telaini e dei vetri su cui poggia “il peso” del pieno sovrastante: una scelta architettonica davvero molto raffinata che offre agli attori la possibilità di traguardare dal salone chi fugge dalla scala (e viceversa), aumentando il patos della scena.

E poi ci sono i saliscendi, scale e risvolti per raggiungere l’inarrivabile villa, interminabili scalinate per scendere insieme alla pioggia nei bassifondi allagati della città. Differenze di quota che enfatizzano differenze di stato sociale e stati d’animo. E infine lo spazio segreto, inesplorato.

“Ho dovuto progettare meticolosamente la casa stessa. Ogni personaggio ha spazi che prende in mano per infiltrarsi e anche spazi segreti che non conosce.”

Il regista Bong Joon-ho

Ma Parasite ci lascia anche con una domanda, forse la più importante: cosa possiamo fare per impedire che l’architettura e la qualità degli spazi diventino, sempre più inesorabilmente, un privilegio per pochi?


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